Con quattro mesi di ritardo provo a raccontarvi come è nato il progetto dell’opera che ho realizzato sulle pareti della cava di marmo a Botticino (BS). In molti mi avete scritto per andare a vedere il pezzo, inondandomi poi di messaggi di apprezzamento.
C’è anche chi ha iniziato dalla cava una sorta di ‘bugattour’ bresciano che ha fatto tappa al muro anamorfico di Bresciadue, passando per la ‘vecchia’ di san Bartolomeo e arrivando al dipinto palestinese di Dukka. Siete fantastici. Ora il FAI accompagna gruppi a visitare le mie opere e mi fa uno strano effetto essere profeta in patria (rubando il posto al caro Nemo che pure stimavo! Ma si, come alcuni di voi sanno, sono una burlona).
Per farla breve, il pezzo in cava è stato un successo. Eppure quando mi hanno contattata per l’intervento ero titubante e in un primo momento ho rifiutato. Ero abituata ad esprimermi liberamente all’interno di festival e l’idea di una sorta di commissione, per lo più da parte di un’azienda privata, non mi entusiasmava. Inoltre, nonostante avessi ottenuto carta bianca a livello di soggetto ero perplessa circa la questione ambientale e mi sembrava contraddittorio rispetto alle tematiche che normalmente affronto nelle mie opere (ho già ricordato quanto tengo alla libertà di soggetto? Ovviamente si).
Ma facciamo un passo indietro. Ero appena rientrata dal Paese delle Fiabe (nel viterbese) dove fra tifoni e acquazzoni avevo concluso l’Attenzione (alias Cappuccetto Rosso), opera dedicata proprio alla cura del pianeta. Ero certamente stanca e molti dei festival che avevo in agenda erano stati nuovamente cancellati causa pandemia.
Ecco che mi chiama Sara Zugni, storica dell’arte bresciana, che tenta di coinvolgermi nel progetto nato all’interno dell’azienda Lombarda Marmi. Io la annoio subito con mille questioni ideologiche sulle cave. Lei mi chiede di parlare con i titolari di Lombarda e organizza un incontro su meet dove mi spiegano come si muove l’azienda rispetto ai parametri europei, rispondendo a tutte le mie domande circa lo smaltimento, i prodotti, l’impatto ambientale, il recupero dei siti, il trattamento dei lavoratori. Gianni, Luisa e Lorinda sono preparatissimi sulle mie opere precedenti e sono interessati proprio a ciò che tento di esprimere in questi ultimi anni.
Sono ancora in dubbio ma poi vedo la location che dovrebbe ospitare l’opera. Lì ho vacillato. Uno scenario incredibilmente suggestivo dove le piante crescono formando crateri nel marmo. Due muri perpendicolari alti 9 metri, uno lungo 18 metri sbalzato su tre diversi livelli, un enorme scenario grezzo bianco e ocra.
Una prova colore sul marmo grezzo e via col bozzetto. Nasce l’idea di un enorme Gandhi, per loro è un’icona universale di pace e tolleranza, buon auspicio per il futuro. In passato avevo apprezzato e letto molto di lui (e su di lui), contraddizioni comprese (riemerse di recente in un saggio di Arundhati Roy). Un periodo in cui avevo studiato anche Martin Luther King, Mandela, Malcom X. Un piccolo Gandhi era apparso anche in una gigantesca opera di 3D pavement art realizzata in team negli USA nel 2013, la zattera dei diritti umani. Penso che vorrei inserire nel pezzo un vecchio cavatore e degli animali e comincio a disegnare. Voglio creare un’opera che racconti di come la natura si reimpossessa di tutto, alla fine. Desidero che il pezzo stesso venga divorato dalle piante e decido di ispirarmi ad un passo delle Metamorfosi di Ovidio.
Lo spazio a disposizione è di circa 300 m2 e allora per incastrare biblioteca e piattaforma a livello di tempistiche telefono al mio amico Fabio Maria Fedele (che ormai qualcuno di voi conoscerà) proponendogli una collaborazione. Così in maggio si inizia! La luce si riflette sul marmo e acceca quindi cerco i miei vecchi occhiali da sole, Fabio riesce a farne a meno, è un alieno.
Il primo giorno facciamo la quadrettatura con la bindella e il filo a piombo. Poi iniziamo a tracciare il disegno. Mi rendo subito conto che non potremo lavorare su due aree diverse dell’opera perché il terreno è in forte pendenza e si scivola molto. Il cestello però è minuscolo e dipingere gomito a gomito per me è quasi impossibile. Vado in crisi nerissima. Il buon Fabio (fedele si, ma soprattutto paziente) mi convince a prendere un ritmo a plotter partendo dall’alto con tratteggi incrociati e scambiandoci man mano di posto per sovrapporre linee coi due diversi stili. Il metodo funziona ma io sono tesa e guido malissimo la piattaforma facendo sbalzare i barattoli (la bugatti airines è migliorata strada facendo ma con i muri a 90 gradi soffre ancora di qualche asperità). La sera siamo stravolti e ustionati a tratti ma quando scendiamo il disegno comincia ad emergere. Così proseguiamo per 10 giorni, dalle 8 alle 22, pranzando in 15 minuti e saltando la cena. Si chiudono i colori alle 22.30, si arriva a casa alle 23, si apre il frigo, horror vacui o alimenti da cucinare per un’ora. Fabio mi conosce e si è portato la Nutella da casa.
Alla fine il pezzo esplode nel marmo, siamo felici e l’ultima sera addirittura ceniamo, a mezzanotte. Fabio lava i piatti, vuole chiacchierare. Io invece crollo con addosso le scarpe, poche ore dopo dovrò andare in biblioteca.
Così è nato Tempus Edax Rerum ossia il Gandhi di Botticino.
Aggiungo di seguito, dopo le immagini, le parole di Sara Zugni sul significato dell’opera perché se avete letto fino a qui siete epici e sopporterete ancora venti righe. Ho tenuto Sara al telefono per un’ora per spiegarle cosa volessi trasmettere quindi anche a lei va il premio pazienza, secondo posto.
Ringrazio, oltre a Fabio e Sara, anche Gianni Merendino, Luisa Vicentini, Lorinda Simoni e ovviamente tutti gli operai di Lombarda Marmi. Grazie anche a Takahiro Yoshikawa per il meraviglioso concerto di pianoforte davanti a Gandhi, è stato magico. Ringrazio anche come sempre il mio Andrea (Zampatti) per le fotografie dell’opera.
Fra le fotografie troverete anche la ‘posizione’ dell’opera su Maps. Ricordo che si può visitare a cantiere chiuso, quindi dopo le 17 o nel fine settimana, lasciando l’auto prima della sbarra bianca.
Infine ecco il link al super video realizzato da Albatros film!
Vera Bugatti, “Tempus Edax Rerum” Cava 7 Botticino (Bs), 2021 (testo di Sara Zugni)
É nella dialettica tra natura e artificio, tra realtà e apparenza, ovvero nella considerazione dell’arte come metafora dell’opera di natura – che trova spiegazione Tempus Edax Rerum, opera di Vera Bugatti, artista con una Laurea in Lettere ed esperienza da ricercatrice in ambito museale e bibliotecario su preziosi volumi del XVI e XVII secolo, oggi artista apprezzata in tutto il mondo per i suoi lavori di Street Painting e Urban Art. Tuttavia, la definizione che meglio descrive la sua attitudine è quella di artista contemporanea, in grado di declinare creatività, pensiero e talento attraverso le diverse e plurime possibilità espressive che proprio la contemporaneità ha saputo comprendere nella definizione stessa di opera d’arte.
Il titolo di questo lavoro è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e significa “il tempo che tutto divora”, espressione coniata dal poeta e riferita all’inesorabile scorrere del tempo che tutto trasforma, indipendentemente dalla volontà e dalle vicende umane. Inesorabile come il continuo divenire e trasformarsi della natura, sempre in grado di rimpossessarsi degli spazi antropizzati e tra i temi centrali della poetica dell’artista.
L’opera prende vita nella cava n. 7 di Botticino, parte di un giacimento di pietra calcarea che da duemila anni fornisce il prezioso Marmo di Botticino con cui sono state realizzate migliaia di opere scultoree e architettoniche, in un continuo e dinamico ciclo di trasformazione della materia naturale in opera d’arte, grazie all’intervento dell’uomo. La cava stessa è un sito in costante evoluzione e metamorfosi. Vera ha riflettuto a fondo su questi concetti, studiando con passione il tema della loro bio-reversibilità, giungendo a sintetizzare in questo colto titolo il significato e il messaggio di un lavoro che elegge la necessità di un nuovo approccio all’ambiente naturale a urgente priorità del nostro tempo.
Il lavoro, oltremodo impegnativo per le dimensioni e le caratteristiche uniche del luogo e della superficie su cui operare, ha rappresentato per la pittrice una sfida fisica e tecnica.
Al centro della composizione appare il volto di Gandhi, immagine universale, simbolo del cambiamento e della non-violenza, che l’artista ha celebrato anche per la modernità delle sue intuizioni sul rapporto uomo-natura. Il filosofo indiano sosteneva l’uguale diritto alla vita di tutti gli esseri viventi del pianeta, dimostrando una sbalorditiva consapevolezza per il suo tempo e testimoniando il suo desiderio di un rapporto più equilibrato tra uomo e natura. Questo grande volto, dallo sguardo intenso e malinconico allo stesso tempo, è illuminato un benevolo sorriso, metafore di speranza. Tra le mani, Gandhi tende un filo rosso che lo collega alle altre figure che animano l’opera. Sulla sua mano destra si posa un uccello, un Bulbul, comune in India e nell’Asia sudorientale, mentre, dalla sua spalla sinistra, spunta una piccola scimmia Langur duca, nota per la notevole capacità di adattarsi anche ad habitat molto diversi.
Il filo rosso connette la figura di Gandhi anche all’immagine di un cavatore maturo, metafora del lavoro e dell’esperienza che, seduto su un grosso blocco di marmo, sembra perso nei suoi pensieri. Simbolo legato a concetti quali la memoria e il ricordo, col suo volto segnato dal tempo, il cavatore testimonia la storia di tutte quelle generazioni che si sono susseguite nei secoli, applicandosi con dedizione a questa dura attività. La povertà del vestiario e la semplicità della sua figura incarnano valori quali la dedizione al lavoro, il sacrificio, la fatica. A destra del grande blocco su cui siede il cavatore, come ulteriore elemento di connessione e continuità tra le figure, spuntano le estremità delle radici del grande albero fantastico che si genera nella parete di sinistra. Le radici sembrano in procinto di avviluppare il blocco di marmo su cui siede il lavoratore, riprendendo il tema del tempo e della riconquista dello spazio da parte della natura.
Sulla parete di sinistra, visibile integralmente solo da un punto di vista laterale rispetto all’opera, si materializza l’elemento più surreale e visionario del progetto: l’enorme albero che prende vita direttamente dal rigoglioso ed esuberante immaginario dell’artista. Le foglie di questo arbusto fantastico sono le medesime delle piante che circondano la cava. Scelta, questa, che suggella la volontà di considerare e creare un senso di continuità con l’ambiente circostante. Mentre il colossale tronco si ispira a quello del Ficus Religiosus, pianta singolare dalle cui radici sembrano prendere forma volti e animali.
L’idea di un albero irreale nasce dalla particolare predisposizione dell’artista al “mostruoso”, secondo un’accezione che privilegia in questo termine il suo valore rivelatore e sorprendente. Mostruoso deriva da “monstrum” che significa “prodigio”. Ecco allora che il “mostruoso” si trasforma in una categoria estetica interessante e coinvolgente, in quanto in grado di rivelare qualcosa di inaspettato. Appassionata e grande conoscitrice del mondo manierista, Vera arricchisce le proprie opere di componenti fiabesche, ingredienti fantastici, sviluppi animistici. Tutti elementi, questi, che appartengono all’insofferenza per le certezze ‘classiche’ e che risultano espressioni della volontà di meraviglia, stranezza, pur mantenendo sempre il focus su tematiche per lei imprescindibili quali ontologia, identità e questioni sociali.
Vera in questo lavoro dà vita a prodigi di bizzarria offerti da ‘mirabili visioni’. Proprio attraverso la ricognizione in questo ampio, ricco e sfaccettato campionario di figurazioni che sorprendono con la loro presenza in questo luogo altrettanto inaspettato, l’opera ci pone al cospetto di un’esperienza inattesa ed enigmatica ma in grado di comunicare qualità creative e tecnica cariche di messaggi e suggestioni.
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(Now in English!)
With four months of delay I try to tell you how the project of the work I made on the walls of the marble quarry in Botticino (BS) was born. Many of you wrote to me to go and see the piece, then flooding me with messages of appreciation. There are also those who started from the quarry a sort of ‘bugattour’ from Brescia that made a stop at the anamorphic wall of Bresciadue, passing through the ‘old’ of San Bartolomeo and arriving at the Palestinian painting of Dukka. You are fantastic!
To make a long story short, the piece in the quarry was a success. Yet when they contacted me for the project I was hesitant and at first I refused. I was used to expressing myself freely within street art festivals and the idea of some sort of commission, mostly from a private company, did not excite me. Moreover, although I was free on the subject I was perplexed about the environmental issue and it seemed contradictory to the issues that I normally face in my works (have I already remembered how much I care about the freedom of subject? Of course yes).
But let’s take a step back. I had just returned from the Land of Fairy Tales (in Viterbo) where between typhoons and downpours I had concluded the Attention (aka Little Red Riding Hood), a work dedicated to the care of the planet. I was certainly tired and many of the festivals I had on my agenda had been cancelled again due to the pandemic.
Sara Zugni, an art historian from Brescia, called me and tried to involve me into the project born within the Lombarda Marmi company. I immediately bored her with a thousand ideological questions about the quarries. She asked me to talk to the owners of Lombarda and organized a meeting where they explained to me how the company moved to European parameters, answering all my questions about disposal, products, environmental impact, site recovery, treatment of workers. Gianni, Luisa and Lorinda were very prepared on my previous works.
I was still in doubt but then I saw the location that shoulded host the work. There I faltered. An incredibly suggestive scenery where plants grow forming craters in marble. Two perpendicular walls 9 meters high, one 18 meters long thrown on three different levels, a huge raw white and ocher scenery.
A color test on the raw marble and I started thinking to the sketch. The idea of a huge Gandhi was born, for them he was an universal icon of peace and tolerance, a good omen for the future. In the past I had appreciated and read a lot from him (and about him), contradictions also. A period in which I had also studied Martin Luther King, Mandela, Malcolm X. A little Gandhi had also appeared in a gigantic work of 3D pavement art made in a team in the USA in 2013, the raft of human rights.
I thought to insert an old quarryman and animals into the piece and I started drawing. I wanted to create a work telling how nature regains everything in the end. I wanted the piece itself to be devoured in the future by plants and I decided to be inspired by a passage from Ovid’s Metamorphoses.
The space available was about 300 m2 and then to fit the library and platform in terms of timing I called my friend Fabio Maria Fedele proposing a collaboration. So in May we started! On the first day we did the square with the ropes and the plumb line. Then we began to draw. I immediately realized that we would not be able to work on two different areas of the work because the ground was steeply sloping and it sliped a lot. The basket, however, was tiny and painting elbow to elbow for me is almost impossible.
I went into a very black crisis. The good Fabio (above all patient) convinced me to take a plotter rhythm starting from the top with crossed hatches and exchanging gradually to overlap lines with the two different styles. The method worked but I was excited and I drove the platform very badly making the jars jump (the ‘bugatti airines’ has improved along the way but with the walls at 90 degrees it still suffers from some roughness LOL). In the evening we were really tired and burned but when we went down the drawing started to emerge. So we continued for 10 days, from 8 a.m. to 10 p.m., having lunch in 15 minutes and skipping dinner. We closed the colors at 10.30, getting home at 11, opening the fridge, empty or with food to cook for an hour. Fabio knows me and brought Nutella from home 😀
At the end the piece exploded in marble, we were happy and on the last evening we even had dinner, at midnight. I collapsed wearing shoes, a few hours later I would have to go to the library.
Thus was born Tempus Edax Rerum or the Gandhi of Botticino.
I added in the italian part of the article the words of Sara Zugni (in italian) on the meaning of the work because if you have read so far you are epic and you will still endure twenty lines. I kept Sara on the phone for an hour to explain what I wanted to convey so she also has the patience prize, second place. Thank you so much!